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EMOZIONI ED EMPATIA: risorse per genitori allenabili

La scorsa settimana ho avuto occasione di poter affrontare, durante una serata, un argomento onnipresente e scottante del mondo sportivo:

 genitori e sport.

Si parla sempre di più  del delicato rapporto tra lo sport e la genitorialità. Spesso (e purtroppo) se ne parla in occasione di scontri e momenti di tensione che generano malessere attorno al mondo dello sport.

In molte società sportive sta nascendo l’esigenza di comprendere come relazionarsi con i genitori. Dall’altra parte, c’è sempre più interesse da parte dei genitori, di comprendere il mondo sportivo in cui è inserito il/la figlio/a.

Questo desiderio genera la possibilità di un confronto da gestire con efficacia, facendo in modo che vi sia un rapporto costruttivo ed una sinergia tra società, allenatori e famiglie.

 

RAGAZZI E RAGAZZE AL CENTRO

Sono questi 3 attori, infatti, che grazie al loro rapporto possono costruire un clima in grado di sostenere la vita sportiva ed il percorso di crescita dei giovani atleti/e. Il verbo “costruire” è utilizzato volutamente per descrivere un processo fatto di confronti, discussioni, momenti difficili, messa in gioco, prove ed errori funzionali alla creazione di un ambiente ben definito.

Può sembrare infatti banale ma è doveroso ricordarsi ed essere consapevoli che lo sport è di ragazzi e ragazze, sono loro infatti i veri protagonisti di vittorie e sconfitte, di errori e miglioramenti, di allenamenti e partite. Al centro del triangolo società-allenatori-famiglie ci sono ragazzi e ragazze che chiedono di divertirsi ed imparare.

Cosa può aiutare i genitori? Vediamo due aspetti in particolare…

GESTIRE LE PROPRIE EMOZIONI

Per i genitori diventa importante, innanzitutto, saper gestire le proprie emozioni. Con gestione si intende

la capacità di utilizzare le proprie emozioni come strumenti per agire in maniera efficace nel contesto in cui si è inseriti.

Questo significa che, per esempio, quando un allenatore sta rimproverando mio figlio come genitore ho tutto il diritto di sentirmi arrabbiato, oppure triste per lui/lei. Quello che dovrò capire in questo caso è:

  • che le emozioni di mio figlio/a possono essere diverse dalle mie (magari lui/lei è deluso perché si rende conto di aver sbagliato)
  • che sta giocando lui, non io (“ha vinto/perso”, non “abbiamo vinto/perso”)
  • come fare in modo che la mia rabbia e tristezza possano essere utili. (potrei, per esempio, incitarlo/a invece di insultarlo/a, oppure contestare allenatore, arbitri, avversari, ecc…)

Siamo esseri unici, ognuno di noi elabora le proprie esperienze dal suo punto di vista. Le nostre emozioni sono nostre e siamo noi a doverci fare i conti.

E questo ci porta verso un’altra capacità fondamentale che i genitori possono allenare.

 

LA GIUSTA DISTANZA: il potere dell’empatia

Un aspetto molto importante per i genitori è quello dell’empatia. Questa capacità, comunemente legata all’essere in grado di mettersi nei panni degli altri, può essere anche riassunto in due parole: giusta distanza.

Ma quante distanze esistono?

  • Essere lontani: quando la distanza è troppa sarà difficile per me comprendere lo stato emotivo di un’altra persona.

ES. “NON CAPISCO PERCHÈ TI ARRABBI”

 

  • Essere troppo vicini: detto anche “fusione”. In questa condizione sono talmente vicino allo stato emotivo dell’altro da farmi totalmente prendere da esso. Il rischio, in questo caso, è quello di perdere sé stessi e la possibilità di aiutare l’altro.

ES. “QUANDO TI VEDO COSÌ ARRABBIATO MI GIRANO LE SCATOLE”

 

  • Essere in contatto: a questa distanza io riesco a percepire lo stato emotivo dell’altro, mantenendo il mio. In questa situazione è possibile per me vedere l’altra persona dalla giusta distanza, rispettando la sua e la mia unicità. A questa distanza sarà possibile per me, aiutare l’altra persona.

ES. “VEDO CHE SEI ARRABBIATO E MI DISPIACE. TI VA DI RACCONTARMI COSA TI HA FATTO ARRABBIARE?”

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EMOZIONI ED EMPATIA PER METTERE IN GIOCO LE PROPRIE RISORSE

Molto spesso per un genitore è molto difficile slegarsi dalle emozioni quando c’è di mezzo il proprio figlio/a.

Imparare a gestire il proprio stato emotivo, restando alla giusta distanza significa mettersi nelle condizioni di assumersi la responsabilità del proprio vissuto, evitando di delegare o incolpare altre persone (allenatori, arbitri, avversari, genitori di altri atleti/e, ecc…).

Questa responsabilità ci rende persone capaci di mettere in gioco le nostre risorse, aiutando ragazzi e ragazze, dialogando con loro, condividendo insieme a società ed allenatori.

Far praticare uno sport ai nostri figli/ie è un’attività che, da questo punto di vista, allena anche noi adulti aiutandoci a diventare esempi ed educatori migliori.

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