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QUANTO ASCOLTIAMO? Spunti di riflessione per allenatori

Nella mia attività di Psicologo capita spesso, quando parlo con gli allenatori, di toccare il tema della comunicazione.

“Come faccio a farmi capire?” 

“Come devo dire questa cosa?”

“Come faccio a farmi ascoltare dagli atleti?”

“Perché dico una cosa ma ne fanno un’altra?”

Molto si sa al giorno d’oggi sulla comunicazione, dalla prossemica, al verbale, paraverbale e non verbale. Esistono molti “tecnicismi”, appartenenti a teorie differenti, per fare si che chi comunica possa riuscire ad arrivare in maniera efficace agli altri. Eppure in alcuni casi, nonostante la conoscenza e l’applicazione di questi accorgimenti comunicativi, la comunicazione stenta o addirittura non arriva.

Come mai?

Come ben sanno gli allenatori, spesso al differenza sta nei dettagli e nelle sfumature, oggi ne approfondiremo alcune.

 

LA RELAZIONE: IL TERRENO DELLA COMUNICAZIONE

Il campo principale sul quale si gioca la partita della comunicazione allenatore/atleta è quello della relazione! (e l’atleta è un compagno di squadra che fa parte di un NOI!!!)

Noi comunichiamo sempre all’interno della relazione che abbiamo e che sviluppiamo con l’altra persona o con le altre persone. L’allenatore non è esente da questa condizione.

Spesso, nello sport, la relazione è inizialmente già definita ed è asimmetrica (allenatore/atleta), ma col passare del tempo e con l’aumentare della frequentazione e conoscenza reciproca il terreno cambia. Il terreno cambia, banalmente, anche solo per il fatto che difficilmente siamo sempre le stesse persone. Questo vale soprattutto nel caso del settore giovanile, nel quale ragazzi e ragazze mutano continuamente, cambiando spesso terreno e regole del gioco.

Alcune domande interessanti, a questo punto, potrebbero essere:

“Mi prendo il tempo di capire come mi relaziono con gli atleti?”

“Quale tipo di relazione instauro con loro?”

“Gli atleti come stanno nel tipo di relazione che instauro con loro?”

 

L’IMPORTANZA DELLA FIDUCIA

Ma cosa rende la relazione così importante?

Comunicare, all’interno di una buona relazione, significa, tra molte altre cose, provare fiducia reciproca. Un buon tecnicismo comunicativo senza la fiducia tra le persone rischia di essere un puro esercizio di stile.

Sviluppare una relazione di fiducia con le altre persone ci permette, nello sport come nella vita, di fare un passo in più, di accogliere ed essere accolti, di aprire ed aprirci senza giudizio, di essere parti attive e non direttori/ricevitori passivi. Sviluppare una relazione di fiducia con gli atleti permette di correre ad una velocità comune. A volte (forse..) potrebbe sembrare di andare più lenti, ma sicuramente si potrà arrivare più lontano.

Per un atleta, banalmente, significa riuscire a chiedere quando non si capisce, a proporre delle soluzioni nuove, a condividere con il proprio coach obiettivi/insicurezze/dubbi senza la paura di essere giudicato ma con la consapevolezza di essere ascoltato e di essere preso seriamente.

Quando ci fidiamo di qualcun altro giochiamo completamente e senza riserve, siamo totalmente in ascolto reciproco, riusciamo a comunicare in maniera sincera, onesta e senza paura di perdere la relazione anche nei momenti difficili e di tensione (momenti dei quali lo sport abbonda).  All’interno di una buona relazione, inoltre, le persone sono più predisposte al cambiamento che, spesso, l’allenatore richiede.

Come fare quindi a sviluppare una buona relazione con gli altri?

 

 

DUE ORECCHIE, UNA BOCCA

L’allenatore è spesso abituato ad essere direttivo, a richiedere determinate esecuzioni, esercizi, movimenti, gesti tecnici, ecc… Questa abitudine porta con sé il rischio di sviluppare una comunicazione unidirezionale nella quale “io dico, tu/voi fai/fate”, “io so di cosa hai/avete bisogno e tu/voi devi farlo”.

Sicuramente esiste la componente direttiva e non va demonizzata. Accanto a questa, tuttavia, va sviluppata la capacità di ascoltare sé stessi e gli atleti. Quando un allenatore comunica, non porta solo un contenuto puramente verbale, ma anche l’emozione, ovvero quello che sta provando in quel momento. Se non si accorge di ciò che sta sentendo, per esempio della rabbia, tale rabbia arriverà comunque.

Ecco quindi che il primo ascolto va rivolto verso sé stessi, per comprendere quale emozione stiamo provando in quel momento per riuscire ad esprimerla nella maniera migliore possibile per sé e per gli altri.

Il secondo ascolto va rivolto verso l’altro. L’ascolto è uno strumento per cercare di comprendere l’altro, conoscere il suo punto di vista e verificare la sua comprensione di quanto ci siamo detti.

La comunicazione è guidata dall’ascolto, chi ascolta è il vero comunicatore perché, proprio attraverso l’ascolto comprende sé stesso e l’altro, che significa comprendere quello che sta accadendo in quel momento. Senza l’ascolto reciproco si creano solo monologhi che rischiano di aumentare la distanza tra allenatori e atleti (es. “io glielo dico, sono loro che non mi ascoltano e non fanno quello che dico!”).

 

 

IL POTERE DELL’ASCOLTO

Mi capita di sentire allenatori che ritengono relazione ed ascolto come delle tattiche per arruffianarsi gli atleti. Lo sono o lo diventano nel momento in cui non mi interessa realmente dell’altro o lo vedo come uno strumento per i miei interessi personali e, in quel caso, la mia distanza arriverà. Un buon ascolto è intenzionale, ovvero devo essere veramente interessato a quello che l’altro ha da dirmi senza volerlo cambiare.

Quando sono sincero l’ascolto e la relazione sono strumenti davvero potenti per un allenatore. Non significa diventare il migliore amico degli atleti e fare il ruffiano, significa piuttosto riconoscerli come persone e comunicare anche nel disaccordo portando il proprio punto di vista riuscendo a comprendere quello altrui.

Prima di allenare, cerchiamo di capire chi stiamo allenando, accanto al tempo della comunicazione direttiva prendiamoci il tempo dell’ascolto e della conoscenza di chi è quella persona che viene da noi a dedicarci il suo tempo, il suo impegno e le sue energie. Prendiamoci cura di verificare se ha capito e di che cosa ha bisogno (e se è un qualcosa che possiamo dare come allenatori).

Si tratta di cambiare un po’ le domande iniziali di questo post:

  • Dal “come/cosa dico?” si passa al “a chi sto parlando?”
  • Dal “come mai non mi capisce?” si passa al “ti posso chiedere se mi sono spiegato con chiarezza?”
  • Dal “perché non mi ascolti?” si passa al “cosa hai capito di quello che ti ho detto?”
  • Dal “come mai non ci riesci?” si passa al “come posso aiutarti a riuscirci?”
  • Dal io dico/tu ascolti si passa al parliamoci
  • Dalla TRASMISSIONE si passa alla COMPRENSIONE
  • Dall’ESECUZIONE si passa all’APPRENDIMENTO
  • Dall’IO si passa al NOI

Si tratta di effettuare un cambio di prospettiva che, tuttavia, risulta sempre più necessario al giorno d’oggi. I tempi in cui l’allenatore era un puro trasmettitore di conoscenze (provocazione: sempre che siano esistiti) non sono più pensabili. Per un allenare di qualità diventa sempre più importante la capacità di ascolto e di entrare in una relazione autentica e onesta con gli atleti.

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