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Allenare l’Autonomia: alcuni consigli contro la “robotizzazione”

Durante i corsi e gli incontri di formazione/aggiornamento per allenatori di settore giovanile viene spesso fatta una raccomandazione, legata al fatto che si lavora per l’Autonomia dell’Atleta.

Quello che si deve ricercare attraverso l’attività di allenamenti e partite è lo sviluppo di un percorso che crei delle persone in grado di:

  • Comprendere le variabili in gioco (spazio-tempo, momento della prestazione, tattica, tecnica, avversari).
  • Prendere la scelta migliore all’interno di una rosa di potenziali candidate (passare, tirare, su che tipo di preparazione concentrarsi).
  • Mettere in atto in maniera funzionale ed efficace tale decisione.

Tutta questa serie di azioni devono essere svolte, all’interno delle varie discipline sportive, in momenti rapidi (frazioni di secondo) o addirittura, in certi casi, anticipate.

Un atleta autonomo, quindi, è un atleta che sa pensare efficacemente per lui e/o per la squadra, possibilmente in fretta.

Dietro a tutta questa gamma di pensieri, strategie, scelte ed azioni si nasconde un’importante aspetto su cui è possibile lavorare in palestra: la consapevolezza.

Un atleta autonomo in grado di prendere decisioni rapide ed efficaci è, infatti, un atleta consapevole di:

  • ciò che sa fare bene
  • ciò che sa fare meno bene
  • ciò che gli sta accadendo intorno
  • ciò che sta sentendo in quel momento
  • ciò che serve a sé o alla squadra in quel momento specifico della partita, dell’annata, della preparazione ecc…

Molte volte capita di sentire allenatori che chiedono ai propri atleti

“Ma come hai fatto a non accorgerti di…?”

“Possibile che tu non capisca che in quella situazione dovevi…?”

“Durante la pausa estiva non potevi allenarti un po’ su…?”.

(Lascio ad ognuno la possibilità di completare le frasi appena scritte in base alla sua esperienza).

In questi casi può essere utile per gli allenatori riflettere sullo spazio che viene abitualmente dato a consapevolezza ed autonomia durante gli allenamenti che vengono svolti durante la settimana. Solitamente l’allenatore, per ruolo, abitudine e tempi ristretti tende a dare indicazioni di ciò che si aspetta che facciano i propri atleti. È tutt’altro che raro sentire allenatori direttivi nelle istruzioni che danno agli atleti che seguono (“Passa”, “Tira”, “Corri”, ecc…).

Quando lo stile direttivo, che ci vuole, però diventa troppo direttivo si corre il rischio di “robotizzare” la persona.

Se io atleta divento dipendente dai comandi di una persona esterna farò quello che mi viene detto senza per forza esserne consapevole e, cosa più importante, APPENA NON AVRÒ NESSUNO CHE MI DIRÀ COSA FARE, IO NON SAPRÒ COSA POSSO FARE.

I motivi per un’esecuzione a comando possono essere moltissimi e non tutti devono per forza essere visti sotto una luce negativa. Alcuni motivi, per esempio, possono essere fiducia nell’allenatore, paura di una punizione, obbedienza, senso di appartenenza, ricerca del risultato. Indipendentemente dalla motivazione, comunque, la troppa direttività rischia di farci ottenere il contrario di ciò che è bene per noi, per la squadra e per l’atleta stesso.

Come fare quindi?

  • CHIEDERE
    • “Come ti senti?”
    • “Qual è la cosa che ti riesce più difficile fare in questo momento?”
    • “Quali alternative abbiamo secondo voi per affrontare questa situazione?”
    • “Cosa abbiamo visto finora in allenamento?”
    • “Cosa è successo quando hai fatto quel particolare gesto/movimento/scelta?”

Le domande aiutano le persone a riflettere su sé stesse, sul loro comportamento e sui contenuti che vengono portati alla loro attenzione. Attraverso un ragionamento guidato da domande un atleta sviluppa una sua elaborazione di quello che fa e riflette sulle sue risorse, difficoltà ed alternative. È vero che in certi casi l’allenatore deve dare delle soluzioni agli atleti che segue, tuttavia, sul lungo periodo, per fare in modo che essi diventino pensanti è importante investire del tempo nel farli pensare. In questo le domande risultano uno strumento sempre molto potente.

  • SOSTENERE. Gli esempi di domande scritte qui sopra sono domande difficili che potrebbero mettere in crisi tutti noi. Vista questa situazione va da sé che nel ricercare delle risposte sicuramente ci saranno degli errori e delle difficoltà. Ecco perché di fronte a risposte sbagliate l’allenatore deve sostenere l’atleta nella sua ricerca, ponendo attenzione sulle risorse che egli può mettere in gioco in suddetta ricerca piuttosto che sui suoi errori.
  • LASCIARE SPAZIO. L’Autonomia va insegnata, ecco perché lasciare dei momenti (prima degli allenamenti o addirittura durante gli allenamenti) in cui gli atleti possano decidere cosa fare aiuta questo insegnamento. All’interno di questi momenti sarà fondamentale l’uso delle domande che l’atleta si farà, come ad esempio:
    • “Cosa mi conviene fare?”
    • “Su quale aspetto della mia performance dovrei concentrarmi?”
    • “Quali esercizi mi conviene svolgere?”

Dopo questa attività libera l’allenatore potrà, sempre attraverso l’uso delle domande, far riflettere l’atleta sul suo lavoro, in modo che di volta in volta l’uso della libertà venga ottimizzato. Tale spazio di condivisione può inoltre diventare uno spazio per meglio definire gli obiettivi individuali dei singoli atleti che diventeranno protagonisti diretti del loro processo di miglioramento. Gli errori ci saranno, soprattutto all’inizio, ma con un sostegno e con le domande giuste lasciare spazio diventerà un abitudine di grande fiducia, in grado di far sentire l’atleta capace di lavorare con sé stesso.

  • CREARE ESERCIZI IN CUI GLI ATLETI ABBIANO POSSIBILITÀ DI SCEGLIERE COSA FARE. Ci sono sport che si prestano maggiormente ad esercizi con scelta multipla o che addirittura sono composti da una forte dose di imprevedibilità. In questi sport sarà probabilmente più facile creare esercizi e situazioni in cui gli atleti siano costretti a pensare da soli e ad essere anche creativi nella ricerca di soluzioni. Tuttavia non sempre questa potenzialità creativa viene sfruttata a dovere. Fare in modo che l’esperienza faccia da insegnante permette quindi all’atleta di apprendere più cose in prima persona.

Concludendo, per lavorare sull’Autonomia l’allenatore deve avere un occhio sul lungo periodo e avere il coraggio di mettersi quasi in secondo piano, passando dall’essere un comandante a essere uno strumento di comprensione e di presa di coscienza per l’atleta.

Insegnare ad un giovane a pensare a essere consapevole di cosa fare e a come farlo in molti casi vale più di molte vittorie ottenute comandando a bacchetta ragazzi e ragazze che, in nostra assenza, resterebbero al buio ma con una torcia che non sanno nemmeno come accendere.  

Talvolta per insegnare a pensare basta poco, iniziando dal chiedere.

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