Lavorare nei campus estivi per bambini è un’esperienza che mi arricchisce sempre molto. In un certo senso, vedendo tantissimi bambini e bambine nel corso dell’estate, è come se si potesse “tastare il polso” di tante piccole cose che hanno a che fare con l’educazione, la famiglia, il mondo che nasce, cresce e cambia.
Logicamente non si generalizza, diciamo quindi che, per me, lavorare con i bambini durante il periodo estivo è, comunque, sempre stimolo di riflessioni.
Pochi giorni fa stavo ascoltando una chiacchierata tra bambini, tema: lo sport.
Ogni volta che la mia attenzione recepisce che si sta parlando di qualcosa di sportivo vengo naturalmente attratto verso quella conversazione. Quello che ho sentito, tuttavia, mi ha leggermente preoccupato.
I bambini stavano facendo una sorta di resa dei conti di falli di reazione, provocazioni, (presunti) torti arbitrali subiti, gesti antisportivi visti di recente. I bambini sembravano quasi contenti di tutte queste cose, non solo come se facessero parte del gioco, ma addirittura come se ne fossero una parte piacevole e divertente.
Ascoltare questo dialogo mi ha fatto riflettere…
Di cosa stiamo parlando quando si parla di sport?
La cultura è qualcosa che creiamo anche noi. Le parole possono diventare scatole vuote che noi riempiamo con i nostri significati.
La domanda che mi sono fatto ascoltando il dialogo raccontato poco fa è:
Con cosa stiamo riempiendo la scatola dello sport?
Ho paura che polemiche, scorrettezze, simulazioni e molto altro ancora rischino di trasfigurare la meraviglia dello sport. Certo, ne fanno parte, nella mia carriera da atleta ne ho viste e vissute a tutti i livelli.
Non sto dicendo che bisogna negare l’esistenza del problema, quanto piuttosto che i nostri sforzi dovrebbero, secondo me, essere diretti verso la soluzione, verso la promozione di ciò che rafforza lo sport, piuttosto che di ciò che ne indebolisce l’essenza.
Che cosa stiamo insegnando a vedere?
Si tratta di una provocazione che vale per tutti (atleti, allenatori, dirigenti, famiglie, giornalisti, ecc…ecc…), all’interno di un grandissimo gioco di squadra.
Soprattutto a livello giovanile, quando lo sport è più di un gioco e si avvicina ad un sogno, che cosa stiamo raccontando a bambini e bambine?
Con le nostre parole, con i nostri racconti e con le loro esperienze, possiamo dare diversi significati all’esperienza sportiva.
Possiamo dire ad un bambino che abbiamo apprezzato un suo dribbling, invece di parlare delle scorrettezze avversarie.
Possiamo aiutarlo a sfogarsi dopo una brutta prestazione, invece di incolpare allenatori, federazioni, ecc..
Possiamo insegnarli a concentrarsi sul gioco, invece che sul reagire alle provocazioni.
Possiamo insegnarli che la migliore risposta ad una provocazione è giocare ancora meglio, invece di giocare sporco.
Possiamo fare un sacco di cose utili, dipende da noi.
La nostra responsabilità, in questi casi, è quella di costruire il significato di sport insieme ai giovani atleti ed atlete.
La chiacchierata che ho ascoltato l’altro giorno si è chiusa con un mio intervento (anche perché gli animi stavano iniziando a scaldarsi), nel quale chiedevo ai ragazzi coinvolti di parlare di qualcosa di diverso. “Provate a parlare di tecnica” ho suggerito “parlate dei vostri giocatori preferiti e di cosa vi piace di loro, di cosa li rende speciali”.
La risposta è stata il silenzio. Spero che il silenzio fosse dovuto ad un effetto sorpresa legato al mio intervento, probabilmente non richiesto da parte loro.
L’alternativa è che, nella scatola dello sport di questi bambini, ci fosse spazio solo per slealtà, simulazioni, polemiche e rabbia.
Questo sarebbe davvero un gran peccato, perché toglierebbe a loro la capacità di apprezzare l’esecuzione di un movimento, la potenza di uno scatto, la bellezza di un colpo di testa, di un passaggio, l’armonia dei movimenti di squadra, la gioia della vittoria accanto alla contemporanea, crudele e sincera tristezza della sconfitta, la disperazione per un errore, l’entusiasmo di chi supera i propri limiti e realizza i propri sogni oltre le difficoltà…
La riflessione che mi porto a casa, grazie a questi bambini, è quella che dobbiamo dare un’occhiata dentro alle nostre scatole per capire cosa abbiamo dentro.
Quello che diciamo può fare una grandissima differenza per tantissime persone.